Elemento Terra è una ricerca sulla ceramica, volta alla sperimentazione materica su uno dei materiali più significativi e utilizzati della storia umana. Le scelte che abbiamo fatto ci hanno portato a trovarci davanti a tutti e quattro gli elementi naturali: Terra, Acqua, Aria e Fuoco. Come in formula matematica abbiamo usato queste quattro entità in quanto termini di un’addizione, vedendo il progetto costruirsi, modificarsi e persino distruggersi. Tutto nasce da una volontà comune di unire in questa funzione una variabile, se possibile, ancor meno controllabile della ceramica: il vetro. Il tutto riuscendo a rimanere “autosufficienti” in tutte le lavorazioni, con l’utilizzo di mezzi alla portata di tutti. Lo spunto iniziale ci è stato dato da tre possibili percorsi: la contaminazione della ceramica attraverso altri materiali, l’alleggerimento delle strutture e la creazione di texture. Benché all’inizio fosse chiaro che il percorso da seguire fosse quello della commistione tra Vetro e Terra, portando avanti la sperimentazione siamo giunti ad un equilibrio tra le tre parti, creando una struttura esile che conservasse attraverso le sue texture i metodi di lavorazione dai quali derivava, fondendo poi il tutto con il vetro con risultati inaspettati.

Incipit di tutto il percorso è l’esperire passato di chi si accinge a percorrerlo. Sul tavolo, prima di pensare al progetto, abbiamo messo le nostre esperienze con la materia nelle sue varie forme.
Alessandro ha portato la sua esperienza con il mondo del Fuoco: una bottiglia vuota, lasciata incautamente tra le braci, che diviene cedevole alla modellazione, fino a renderla irriconoscibile, per poi perderla in frantumi mentre si raffredda.
Giacomo, grande appassionato di cucina, ha provato a prendere in prestito strumenti e processi tipici della pasticceria decorativa: i palloncini, usati come stampo per il cioccolato o per il caramello, si possono rivelare utili per cercare spessori minimi e la dinamicità dei fluidi nel creare una forma sferica.

La sperimentazione è iniziata con l’indagare il materiale ceramico nelle sue mille forme e qualità. Da subito abbiamo trovato un’affinità tra l’argilla in polvere e il vetro, che all’inizio del suo ciclo produttivo è sabbia. L’Acqua, che rende quella Terra polverosa un composto liscio e vellutato, è stata la naturale conseguenza, dando vita alla prima unione elementare. La volontà, a volte dichiarata a volte taciuta, di avvicinarci ad un processo tecnologico che ci permettesse una lavorazione precisa del vetro in una forma chiusa ci ha portato a ragionare sui metodi industriali e a renderci conto di quanto, in questo campo, l’unica possibilità è l’uso dell’Aria. Il processo che abbiamo scelto è vicino a quello della pressofusione, ma, in qualche modo, opposto. Non è l’Aria ad entrare nel materiale, formandolo, ma è il materiale ad avvolgere l’aria, imprigionata nella morbida forma di un palloncino. A questo punto, la sperimentazione è stata necessaria e fondamentale; le variabili di questa parte del processo sono molteplici: le proporzioni tra Acqua e Terra e quindi la consistenza del composto, la modalità di applicazione del composto, la tipologia di palloncino, il tempo e la modalità di essiccazione del composto sul palloncino e infine il giusto momento in cui scoppiare il palloncino per liberare la struttura formatasi senza rovinarla. Il primo bivio si è presentato nella modalità di utilizzo della ceramica: la colata sopra al palloncino (più vicino alle esperienze culinarie) che necessita di un composto piuttosto liquido o l’immersione del palloncino nella ceramica.

A questo punto la scelta è stata dettata da uno dei tre brief che ci ha ricordato l’importanza e la piacevolezza della texture in un materiale così puro: i palloncini, immersi nel composto molto viscoso, con movimenti e pressioni, restituiscono linee di forza, asperità e bordi pieni di fascino in contrasto con la superficie interna perfettamente liscia.  Il risultato di questa scelta sono le nostre Sfere, così le chiamiamo anche se non sono chiuse, caratterizzate da una superficie irregolare, simile al suolo lunare; i bordi, frastagliati e talvolta richiusi a formare un foro, vanno a ricercare lo spessore minimo dell’argilla. A questo punto abbiamo sentito la necessità di immortalarle con la cottura, vista anche la loro estrema fragilità strutturale. Parallelamente a tutto questo abbiamo portato avanti la ricerca materica sul vetro. Mentre la ceramica era parte del nostro bagaglio culturale, ci era stata spiegata e non richiedeva estrema precisione, il vetro si è rivelato un materiale piuttosto ostico, pieno di insidie nella lavorazione. La prima scelta è stata quella di decidere quale mezzo usare per apportare calore al vetro e, vista la volontà di rimanere nell’autoproduzione e l’infatuazione a seguito della visita ad un laboratorio di lavorazione a lume, abbiamo deciso di usare una comune torcia a butano. La prima esperienza con il vetro è stata quasi disastrosa, poco dopo aver acceso la torcia puntata su una lastra di vetro di cui non conoscevamo le caratteristiche, la lastra è esplosa in frantumi ma con molta pazienza siamo riusciti, infine, a portare uno dei frammenti rimasti a temperatura di rammollimento. È stato subito evidente che avevamo bisogno di approfondire le nostre conoscenze e di poter definire precisamente che tipo di vetro lavorare. Per questo abbiamo deciso di farci aiutare da un artigiano di vetreria da laboratorio che lavora per la MarBaGlass. Abbiamo capito che il Vetro che potevamo pensare di lavorare in autonomia era solamente quello che viene volgarmente chiamato di Murano. Il laboratorio, entusiasta dell’interesse, ci ha regalato una serie di lastre di questo tipo ma purtroppo abbiamo capito di aver sottovalutato una parte fondamentale della lavorazione: l’omogeneità di temperatura. La torcia, infatti, raggiunge sì la temperatura adatta, ma non è in grado di riscaldare tutto il volume senza creare diversità termica che porta alla fessurazione e alla rottura della lastra. A questo punto siamo ripartiti dall’inizio del nostro percorso nel mondo del vetro. La lavorazione al lume, infatti, utilizza solo sottili tondini o tubi di vetro che, ovviamente, non presentano problematiche di shock termico grazie alla dimensione esigua. L’utilizzo di tondini di vetro da 3mm di sezione ci ha quindi permesso finalmente di lavorare il vetro in modo corretto e soddisfacente.

Preso atto della capacità di lavorare il vetro e la ceramica abbiamo iniziato la fase di fusione di queste due esperienze. L’idea era quella di unire le nostre Sfere di ceramica al vetro ricoprendone la parte esterna con del Vetro per poi separare successivamente queste due parti in modo da ottenere un elaborato in vetro che portasse con sé tutte le dinamicità delle Sfere. Individuata la fragilità delle Sfere come problematica rispetto all’unione tra i due materiali, l’ultimo tentativo è stato quello di creare delle nuove Sfere ma non attraverso l’utilizzo dell’aria dei palloncini bensì utilizzando delle piccole scodelle in alluminio. Le scodelle una volta ricoperte di argilla avrebbero dovuto servire da struttura portante che rendesse abbastanza solide le Sfere in modo da poter unire il vetro alla superficie di queste ultime. Nonostante i nostri sforzi questa tecnica si è rivelata fallimentare per quanto riguarda il nostro scopo iniziale di unire Vetro e ceramica ma non per questo poco interessante. Apportando calore sulla superficie di queste nuove Sfere il risultato è stato quello di una sorta di cottura delle stesse che se pur rimanendo incollate alla scodella si sono crepate nel ritirarsi dell’argilla, creando così dei cretti molto interessanti date le caratteristiche superficiali. Dati i risultati frammentati in entrambi i casi abbiamo deciso di tentare comunque l’unione arrivando sicuramente lontano dal risultato voluto ma ragionando sugli errori e sulle criticità abbiamo tracciato la strada che sarebbe necessaria. Gli elaborati di questa sperimentazione sono stati quindi dei sottilissimi frammenti di ceramica ricoperti di vetro. Il vetro è addirittura servito da collante tra più frammenti come nel tentativo di riunire le Sfere precedentemente rotte durante la lavorazione. Purtroppo la fragilità delle Sfere ci ha reso impossibile questa fusione di materiali, tuttavia se pur in piccola scala rispetto a quello che avevamo pensato la porosità della ceramica ha reso possibile l’unione di questi due materiali portandoci sì ad una sconfitta ma arricchendo le nostre conoscenze e segnando il limite di ciò che ci era possibile.